Sintesi a cura di Marianna Natale, Founder di The Appointment Consulting.
Smart working: dall’emergenza alla strategia.
Dopo la pandemia, lo smart working ha smesso di essere un semplice strumento di sopravvivenza per diventare, in molti contesti, un vero e proprio sistema operativo aziendale. Alcune imprese hanno registrato un aumento significativo della employee retention: lavorare da remoto ha permesso a molti di tornare nelle proprie città d’origine, soprattutto al Sud, senza rinunciare a opportunità professionali di alto livello.
I benefici sono evidenti: riduzione dello stress, abbattimento delle distanze casa-lavoro, maggiore chiarezza nei processi e negli obiettivi. Tuttavia, lo smart funziona solo se accompagnato da un forte senso di squadra e da una comunicazione interna capace di unire le persone.
Non tutte le aziende purtroppo, ancora oggi sono pronte. Le PMI ad esempio, spesso ancora concentrate su logiche imprenditoriali tradizionali, faticano a compiere il salto verso un modello manageriale basato su fiducia e obiettivi. In questi casi, il rischio è di generare danni organizzativi e demotivazione. A ciò si aggiunge una resistenza culturale: gli over 50 tendono a preferire la presenza fisica, mentre le nuove generazioni chiedono flessibilità e libertà di condivisione.
In questo scenario, l’HR si trova al centro di un delicato equilibrio tra senior e nuove leve, mentre la leadership è chiamata a ridefinirsi: leader imprenditoriali o leader manageriali? La risposta sta nella capacità di abbracciare un modello più flex, dove il controllo lascia spazio alla fiducia e la rigidità si trasforma in inclusione.
Lo smart working non è soltanto una questione di strumenti tecnologici o di processi aziendali: è soprattutto un cambiamento culturale. Significa ripensare il rapporto tra fiducia, flessibilità e controllo, tre parole chiave che definiscono il nuovo equilibrio tra management e persone. La fiducia diventa il motore che permette di lavorare a distanza senza perdere coesione; la flessibilità è la condizione necessaria per adattarsi a contesti diversi e valorizzare i talenti ovunque si trovino; il controllo, infine, deve trasformarsi da sorveglianza a misurazione degli obiettivi, diventando un alleato della trasparenza e non un ostacolo alla libertà.
In questo senso, la modalità di lavoro flessibile ha anche un impatto sociale: riduce le disuguaglianze territoriali, favorisce il rientro dei giovani nei luoghi d’origine e contribuisce a una maggiore sostenibilità ambientale grazie alla diminuzione degli spostamenti quotidiani. È un modello che, se ben gestito, può rafforzare il legame tra impresa e comunità, trasformando il lavoro in un fattore di coesione sociale oltre che di competitività economica.
Il lavoro agile non è più un’opzione emergenziale, ma una scelta strategica. Dipende dal management decidere se trasformarlo in leva di competitività e benessere, o lasciarlo come occasione mancata. La sfida è chiara: costruire organizzazioni capaci di fondarsi sulla fiducia, di praticare la flessibilità e di ripensare il controllo come strumento di crescita condivisa.
Solo così il lavoro potrà diventare davvero un ponte tra persone, territori e futuro.
Moderazione: Marianna Natale, Founder / The Appointment Consulting.
Interventi di:
Matteo Baldini, Chief Human Resources & Business Controlling Officer / Digital Technologies srl Società Benefit – a Namirial Company;
Nicoletta Caccia, HR Director / Alfamation;
Pasqualina Ciccone, Head of People Operations / Prima Assicurazioni;
Gianluca Morosini, Head of HR / B. Kolormakeup & Skincare;
Lucrezia Toscana, Managing Director / GED Transport;
Valeria Tringali, Head of People and Culture / Quandoo.
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