"Il linfoma mantellare è una delle tante forme di linfoma non-Hodgkin. Rappresenta il 6% di tutti i linfomi non-Hodgkin. Quindi una malattia abbastanza rara, ma non infrequente". Lo ha detto Maurizio Martelli, professore ordinario di Ematologia all'Azienda ospedaliero-universitaria Policlinico Umberto I di Roma, Università La Sapienza, durante una conferenza stampa - oggi a Roma - sui progressi nella cura della malattia e la presentazione dell'ok di Aifa alla rimborsabilità in Italia di pirtobrutinib. I sintomi del linfoma mantellare - che colpisce gli organi del sistema linfatico, è legato in particolare alla proliferazione incontrollata di un particolare tipo di globuli bianchi (i linfociti di tipo B) e si sviluppa in un'area dei linfonodi chiamata mantello - possono essere "molto banali", spiega Martelli. "La comparsa di una linfoadenomia, di epatosplenomegalia superficiale (ingrossamento di milza e fegato) - precisa - In casi di malattia avanzata possiamo avere delle compromissioni dell'emocromo. E quindi possiamo avere, in base a un semplice emocromo eseguito per controlli di routine, una linfocitosi oppure un'anemia, una piastrinopenia, che può essere il primo segnale di una compromissione del midollo dal punto di vista del linfoma mantellare. Ma qui siamo in una forma un pochino più avanzata". "Purtroppo, il linfoma mantellare di solito è molto aggressivo e tende a ripresentarsi, cioè a recidivare - avverte Martelli - Dopo il trattamento di seconda linea, qualora il paziente ricada di nuovo, in alcuni casi si può ricorrere alla terapia cellulare con Car-T. La nuova terapia mirata, pirtobrutinib, risponde a bisogni clinici finora insoddisfatti, perché può essere utilizzata dopo un precedente inibitore di Btk, indipendentemente dalla linea di terapia. Inoltre è un farmaco assunto per bocca, stando a casa, e questo semplifica l'aderenza alla terapia". Per quanto tempo deve durare il trattamento? "Fino a quando la malattia non regredisce", conclude lo specialista.