Elezioni Usa, Bezos difende il no all'endorsement: "E' scelta di principio"

"Rinunciare all'endorsement è una scelta di principio, ed è quella giusta". Jeff Bezos rivendica in un editoriale pubblicato sul Washington Post la decisione di non fare esprimere il giornale di cui è editore a favore di uno dei due candidati alle presidenziali americane, interrompendo una tradizione decennale.  Il patron di Amazon dal 2013 è proprietario della storica testata di Washington. Sia nel 2016 che nel 2018 il Post si era schierato contro Donald Trump, e il giornale, e anche il suo proprietario, era stati nel mirino delle esternazioni del tycoon per tutta la sua presidenza. E anche per queste elezioni Trump non ha fatto mistero delle vendette e punizioni che infliggerà una volta tornato alla Casa Bianca. Dal canto suo Bezos spiega che "gli endorsement presidenziali non servono a far pendere l'ago della bilancia di un'elezione. Nessun elettore indeciso in Pennsylvania dirà: "Scelgo in base all'endorsement del giornale A". Nessuno. Ciò che gli endorsement presidenziali fanno è creare una percezione di parzialità. Una percezione di mancata indipendenza". "Eugene Meyer, editore del Washington Post dal 1933 al 1946, la pensava allo stesso modo e aveva ragione. Di per sé, il rifiuto di appoggiare i candidati presidenziali non è sufficiente a farci avanzare di molto nella scala della fiducia, ma è un passo significativo nella giusta direzione. Avrei preferito che il cambiamento fosse avvenuto prima, in un momento più lontano dalle elezioni e dalle emozioni che le hanno accompagnate. Si è trattato di una pianificazione inadeguata e non di una strategia intenzionale". "Vorrei anche chiarire - prosegue l'editore del Washington Post - che non c'è alcun tipo di contropartita. Nessuna delle due campagne, nessuno dei due candidati sono stati consultati o informati a qualsiasi livello o in qualsiasi modo di questa decisione. È stata presa interamente a livello interno. Dave Limp, l'amministratore delegato di una delle mie società, Blue Origin, ha incontrato l'ex presidente Donald Trump il giorno del nostro annuncio. Ho fatto un sospiro quando ne sono venuto a conoscenza, perché sapevo che avrebbe fomentato coloro che volevano inquadrare questa decisione in qualcosa di diverso da una scelta di principio. Ma il fatto è che non sapevo dell'incontro in anticipo. Né lo sapeva Limp; la riunione è stata fissata in tempi brevi quella mattina. Non c'è alcun collegamento con la nostra scelta sugli endorsement alle presidenziali, e qualsiasi suggerimento contrario è falso". "Potete considerare la mia ricchezza e i miei interessi commerciali come un baluardo contro le intimidazioni, oppure potete vederli come una rete di interessi conflittuali. Solo i miei principi possono far pendere la bilancia da una parte all'altra. Vi assicuro che le mie opinioni qui sono, in effetti, basate su principi, e credo che i miei precedenti come proprietario del Post dal 2013 lo confermino. Naturalmente siete liberi di fare la vostra scelta, ma vi sfido a trovare un solo caso in questi 11 anni in cui io abbia prevalso su qualcuno del Post a favore dei miei interessi. Non è mai successo", prosegue Bezos.   Ma dopo la decisione, annunciata a sorpresa dal suo editore William Lewis, che il giornale non avrebbe dato, interrompendo una tradizione decennale, il suo sostegno a uno dei due candidati alla Casa Bianca, il giornale è stato investito da una vera e propria bufera sui social media, con i lettori che per protesta hanno pubblicato gli screenshot della cancellazione degli abbonamenti. E il movimento #BoycottWaPo comprende nomi illustri come gli attori Jeffrey Wright e Bradley Whitford.   A protestare è principalmente "la sinistra americana, infuriata per la notizia che gli editorialisti del giornale aveva già preparato l'articolo di endorsement per Kamala Harris", si legge nel testo, che registra anche che continuano le proteste in redazione. Dopo Robert Kagan, un'altra editorialista Michele Norris ha annunciato la "difficile decisione" di non collaborare più con il giornale. E sono diventati 19 gli editorialisti che hanno firmato una colonna in cui si condanna la decisione come "un tradimento delle convinzioni del giornale che amiamo", parlando di una scelta in queste elezioni tra "valori democratici" e "la minaccia che Trump costituisce per loro".  Dopo l'annuncio di venerdì, e l'ondata di polemiche e proteste, Lewis, editore della testata dallo scorso novembre, ha cercato di giustificare la scelta come un modo per tornare "alle radici" del giornale, che ha cominciato a dare gli endorsement nel 1976, e ieri ha diffuso una dichiarazioni per smentire le voci che la decisione di Bezos sia tesa a favorire Trump: "La decisione di mettere fine agli endorsement è stata totalmente interna, senza avvisare o consultare e campagne o i candidati a nessun livello. Qualsiasi notizia di senso contrario è incorretta".  Da parte loro, i giornalisti del Post esprimono preoccupazione per il fatto che questa vicenda stia facendo scendere, dopo un ripresa nei mesi scorsi, il numero delle sottoscrizioni, cosa colpisce il lavoro dei giornalisti e non i vertici. "Non posso parlare delle decisioni prese dal nostro proprietario e dall'editore, ne capisco poco come voi - ha scritto ai lettori su X Sarah Kaplan, una delle rappresentanti sindacali del Post - ma vi posso promettere che la redazione del Washington Post rimane impegnata nel nostro lavoro, nel dire la verità con chiarezza e umanità. Per tenervi informati, a tutti i costi".  Dalla politica arrivano attacchi a Bezos, con Bernie Sanders che l'accusa di avere "paura di inimicarsi Trump e perdere i contratti federali per Amazon". Anche per la repubblicana anti-Trump, Liz Cheney, ora alleata di Kamala Harris, il fatto che Bezos abbi evitato "di pubblicare l'endorsement per l'unica candidata che è un'adulta stabile e responsabile perché ha paura di Trump. ci dice perché dobbiamo lavorare così sodo per non far eleggere Trump".   Sono comunque in aumento il numero dei miliardari e Ceo, anche quelli che in passato hanno criticato l'ex presidente, che adottano un profilo basso, evitando di prendere posizioni. I consiglieri di Trump rivelano che in queste ultime settimane sono stati contattati da imprenditori e manager. "Ho detto loro di impegnarsi il più velocemente possibile perché il tempo sta scadendo, se sei qualcuno che ha sostenuto Harris, che non si è fatto sentire, avrai la strada in salita", ha detto esplicitamente uno di loro, spiegando che sono stati messi al lavoro anche "lobbisti nel tentativo di mettersi in contattato con noi".  Già nel primo mandato, Trump ha sfruttato il potere federale per punire una serie di nemici nel mondo del business, e durante questa campagna ha più volte esortato Ceo a donare generosamente per ottenere poi politiche loro favorevoli. "Trump non ha problemi a fare i nomi dei nemici politici e minacciare di usare la forza del governo per vendicarsi e sembra che stia intimidendo molti, è un segnale molto inquietante su come l'intimidazione del governo funziona", ha detto Brian Riedi, del Manhattan Institute. "Le elite e i ricchi sentono che Trump vincerà, non pensate che Jeff Bezos segue Polymarket?", dice un finanziatore di Trump, Bill White, riferendosi ad un sito di scommesse politiche che dà le quotazioni dei candidati ed ultimamente favorisce Trump. "Bezos che non sostiene Kamala Harris, penso che sia un endorsement da 50 milioni di dollari per Trump, non scegliere un cavallo è di fatto sceglierlo".