"Se fosse possibile per un attimo, anche solo per un attimo, distogliere la nostra attenzione dalle vicissitudini del ministro Sangiuliano scopriremmo che c’è molto altro che bolle nel pentolone della politica. E che una parte del nostro destino si gioca anche fuori e lontano da quelle vicissitudini. Al nostro paese, ad esempio, servirebbe una politica estera. Una, possibilmente condivisa. Non troppo incrinata da dubbi e incertezze. Idealistica, ma non ideologica. Rigorosa senza eccessi e flessibile senza disinvolture. Aperta al mondo eppure leale verso gli alleati. E se tutto questo non ci fosse, ci servirebbe almeno andarlo a cercare, afferrarne almeno un lembo. Aprendo una seria discussione strategica tra tutte le forze che sono interessate all’argomento. Discussione che invece viene fatta a pezzi e bocconi, in modi estemporanei e qualche volta vistosamente strumentali e propagandistici. Come se ci potessimo permettere di non tener conto che è il nostro posizionamento internazionale -quasi solo quel posizionamento- che decide i nostri destini e rende più cupe o invece più luminose le nostre prospettive. Ora, a questo governo andava reso merito di aver scelto fin dal suo esordio la solidarietà all’Ucraina. Ma poi quella linea, condivisa anche da una parte dell’opposizione, si è andata un po’ sfilacciando. E ora ci fa trovare, in solitaria compagnia con l’Ungheria e la Slovacchia, in prossimità di un mezzo disimpegno. Le armi a Kiev sì, ma il loro impiego oltre la frontiera no. Come se proprio quella frontiera non fosse il drammatico, e strategico, luogo del contendere. Non appena il governo ha scelto questa linea, all’opposizione non è parso vero di risolvere i suoi dilemmi strategici facendosene scudo. Così oggi quasi l’intero arco politico si riconosce nella scelta di armare gli ucraini ma appunto solo per metà. Una scelta che magicamente compatta Meloni e Schlein, ma anche Conte e Salvini con la piccola eccezione del fu terzo polo e con il mugugno educato e quasi silenzioso di una piccola parte del Pd. Una linea assai discutibile, a giudicare dalle scelte dei paesi con cui siamo alleati. Ma che almeno avrebbe dovuto essere sancita da un dibattito e da un voto parlamentare in cui si fosse tentato di esprimere un indirizzo strategico. E invece niente. Il fatto è che si fatica a cogliere l’intreccio inestricabile che lega nel nostro caso politica interna e relazioni internazionali. Arrivammo all’unità d’Italia grazie alle sapienti trame del conte di Cavour, che fu soprattutto il machiavellico ministro degli Esteri di se stesso. Poi l’Italia liberale fece i suoi bravi giri di valzer, alleata ora di questi ora di quelli. Poi venne la sciagurata scelta dell’asse Roma-Berlino. Poi ancora De Gasperi fissò i paletti del dopoguerra ancorando il nostro destino all’europeismo e all’atlantismo. Cosa che a noi, dopo, sembrò del tutto ovvia e quasi obbligata. Ma che all’epoca fu oggetto di non poche controversie, anche nell’inner circle dei partiti democratici e occidentali. Insomma, abbiamo sempre fatto una certa fatica a tenere dritta la barra delle nostre alleanze. Ma almeno veniva in nostro soccorso la consapevolezza, umile e lucida, che erano quelle alleanze a decidere delle nostre sorti (e della nostra prosperità). Oggi invece una parte di quelle certezze sembrano vacillare. E un’altra parte viene data invece così comodamente per scontata da non aver bisogno neppure di quel minimo di cura e di manutenzione a cui pure si dovrebbe provvedere. La sortita di Bettini che invita a spezzare i vincoli dell’atlantismo, la riottosità di Salvini e Conte ad allinearsi ad una scelta inevitabilmente severa verso la Russia putiniana, la diffusa “stanchezza” per la fatica e per i costi del sostegno all’Ucraina e la decisione di prendere una certa distanza dal concerto europeo e atlantico sulle armi a Kiev, senza contare le mille divisioni intorno alla drammatica questione mediorientale, sono tutti segnali di una situazione in forte movimento -anche sul piccolo fronte della nostra politica di casa. Sarebbe doveroso discuterne alla luce del sole. Magari anche sottraendo un po’ del nostro tempo e della nostra attenzione all’”affaire” Sangiuliano". (di Marco Follini)