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(Adnkronos) - Almeno 115 soldati della Guardia nazionale russa (Rosgvardia) sono stati licenziati per aver rifiutato di partecipare all'operazione militare speciale in Ucraina, è emerso dopo che il tribunale di Nalchik, nella regione del Kabardino-Balkaria, nel Caucaso, ha respinto in blocco il ricorso che avevano presentato insieme contro il provvedimento. Il pronunciamento del tribunale è stato pubblicato sul sito web della corte. Il giudice sancisce che i soldati sono stati licenziati per giusta causa dopo "aver rifiutato di eseguire un incarico ufficiale" per combattere in Ucraina e invece essere tornati alla loro base di Nalchik. L'avvocato difensore dei soldati, Andrei Sabinin, ha denunciato "la velocità senza precedenti" con cui il tribunale ha preso la sua decisione, data la complessità del caso, e ha espresso "dubbi sulla correttezza del processo nel suo complesso, dato che ai miei clienti è stata negata la possibilità di chiamare alcuni testimoni e diversi documenti sono stati respinti".
(Adnkronos) - Uno sguardo verso il futuro del mercato del lavoro, ripartendo dalle indicazioni del Jobs Act. E' il messaggio che arriva dalla presentazione dell'ultimo libro, 'Jobs Act forever' (ed. Rubbettino), del giuslavorista e avvocato Francesco Rotondi, founder dello studio LabLaw, tenutasi ieri pomeriggio al Palazzo dell'Informazione Adnkronos a Roma. "Credo che conoscere il passato e confrontarsi -ha detto Rotondi- con esso sia necessario per costruire il futuro. L'idea di scrivere il libro mi è venuto mentre concludevo il precedente, con le interviste ai ministri del Lavoro degli ultimi 20 anni. E' in questo arco di tempo il Jobs act è l'unico tentativo di riforma dell'intero sistema e non solo del diritto del lavoro. E credo che è stata la più grande occasione di riforma degli ultimi 50 anni". "Dal confronto di oggi emerge una prospettiva, che va perseguita", ha sottolineato Rotondi che ha rimarcato come "dobbiamo guardare al complesso normativo senza immaginare rigidità. Nel Jobs act c'era già tutto, dobbiamo riprendere quella strada". Un concetto condiviso dalle imprese, con Massimo Marchetti, area Lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria che ha sottolineato come "il Jobs act" avesse "una visione del futuro del mondo del lavoro, oggi interventi ci sono interventi frammentati, con un livello tecnico molto basso. Nel Jobs act invece troviamo un livello tecnico molto elevato", ha aggiunto ancora. E Maurizio Del Conte, giuslavorista e tra i 'padri' del Jobs Act ha sottolineato che nel provvedimento "c'ho messo l'anima, c'era un'idea di lavoro, un'operazione di ricomposizione del quadro. E' stato un lavoro certosino quello che abbiamo fatto e se si parla di Jobs act oggi si parla della legge fondamentale del lavoro anche se alcune modifiche sono state fatte", ha sottolineato l'ex-presidente dell'Anpal. Per Del Conte se c'è una cosa che nel Jobs Act non ha funzionato "sono le politiche attive, non si possono riformare i servizi per l'impiego a invarianza di spesa". Per Nicola De Marinis, consigliere presso la Corte di Cassazione, sezione Lavoro "ci troviamo in un contesto sfidante, in cui, provocatoriamente, possiamo dire che il lavoro è tornato ad essere una merce, e in cui quindi è centrale la qualità del lavoro stessa", ha spiegato. Per De Marinis "la discussione sul lavoro agile è la discussione sul lavoro del futuro". E per De Marinis non ci si può fermare "a guardare al passato, anche sotto il punto di vista della normativa del lavoro. Dobbiamo traguardare il futuro, e nel Jobs Act c'era già tutto per farlo, come si legge anche nel libro". Secondo Nicola Marongiu, coordinatore area contrattazione e mercato del lavoro della Cgil "il giudizio sul Job act della nostra organizzazione vedeva positivamente alcuni aspetti che si confermati tali e individuava delle criticità che anch'esse sono rimaste invariate, come ad esempio il finanziamento delle politiche attive. Per quanto riguarda l'articolo 18 noi non lo abbiamo mai considerato un 'totem' ma qualcosa di pratico", ha concluso.
(Adnkronos) - Il Cile potrebbe ospitare l'albero più antico al mondo. E’ quanto emerge da uno studio del Laboratorio di Scienze climatiche e ambientali di Parigi, secondo cui un antico albero di alerce – una varietà locale di larice - conosciuto come "grande nonno" potrebbe avere più di 5.000 anni. Jonathan Barichivich, lo scienziato che ha guidato lo studio, ha spiegato che il campione estratto e altri metodi di datazione suggeriscono che l'albero abbia 5.484 anni. L'età stimata batterebbe quindi di oltre mezzo millennio l'attuale detentore del record, un esemplare di pino bristlecone di 4.853 anni che si trova in California.