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(Adnkronos) - "Credo che se si deve parlare con Putin ci parla Draghi". Così Luigi Di Maio che non era stato informato da Matteo Salvini dell'intenzione di andare a Mosca. Dal ministero degli Esteri non c'è stata richiesta di chiarimenti al leader della Lega: "Noi ci siamo limitati a dire che nessuno ne sapesse nulla. Il governo italiano non sapeva di questa intenzione. Quanto passi fra l'intenzione e quello che accadrà non lo so", ha affermato Di Maio. "Una cosa è certa in un momento così delicato non c'è differenza se un membro del parlamento, un leader di partito o un ministro vogliono andare a Mosca. E la postura del paese in generale che viene rappresentata", ha commentato Di Maio. "Consiglio molta prudenza - ha sottolineato - la guerra in Ucraina o l'andata a Mosca non è un tema da tour estivo è una cosa un po' complicata". "Il problema vero è che Putin deve dimostrare di volere la pace, nell'ultima settimana ha intensificato bombardamenti sul Donbass e soprattutto ha esteso l'età per arruolarsi nell'esercito. Tutto questo non lascia immaginare di avere un interlocutore dall'altra parte che voglia sedersi al tavolo", ha detto ancora Di Maio intervistato da Bruno Vespa al Forum Masseria, sottolineando che comunque bisogna "provare e continuare" a lavorare per la pace e che l'Italia "è in prima linea" in questo sforzo. "Io posso dire però che non sono ottimista, nel senso che in poche settimane si possa raggiungere la pace. Io questo lo escludo. Non è un percorso breve. Dobbiamo prepararci ad un percorso stretto, in salita, difficile. Ma questo non ci deve fermare nell'obiettivo di raggiungerlo", ha aggiunto. Nel lavoro su corridoi per far evacuare il grano, "la Russia necessariamente deve essere uno degli interlocutori". Ci sono paesi dell'Africa e del Mediterraneo che ricevevano il 70% del grano dall'Ucraina, ha detto Di Maio. E "quel grano va in molti paesi su cui la Russia esercita delle sfere d'influenza", ha proseguito, rimarcando che "la Russia sta affamando suoi alleati".
(Adnkronos) - Uno sguardo verso il futuro del mercato del lavoro, ripartendo dalle indicazioni del Jobs Act. E' il messaggio che arriva dalla presentazione dell'ultimo libro, 'Jobs Act forever' (ed. Rubbettino), del giuslavorista e avvocato Francesco Rotondi, founder dello studio LabLaw, tenutasi ieri pomeriggio al Palazzo dell'Informazione Adnkronos a Roma. "Credo che conoscere il passato e confrontarsi -ha detto Rotondi- con esso sia necessario per costruire il futuro. L'idea di scrivere il libro mi è venuto mentre concludevo il precedente, con le interviste ai ministri del Lavoro degli ultimi 20 anni. E' in questo arco di tempo il Jobs act è l'unico tentativo di riforma dell'intero sistema e non solo del diritto del lavoro. E credo che è stata la più grande occasione di riforma degli ultimi 50 anni". "Dal confronto di oggi emerge una prospettiva, che va perseguita", ha sottolineato Rotondi che ha rimarcato come "dobbiamo guardare al complesso normativo senza immaginare rigidità. Nel Jobs act c'era già tutto, dobbiamo riprendere quella strada". Un concetto condiviso dalle imprese, con Massimo Marchetti, area Lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria che ha sottolineato come "il Jobs act" avesse "una visione del futuro del mondo del lavoro, oggi interventi ci sono interventi frammentati, con un livello tecnico molto basso. Nel Jobs act invece troviamo un livello tecnico molto elevato", ha aggiunto ancora. E Maurizio Del Conte, giuslavorista e tra i 'padri' del Jobs Act ha sottolineato che nel provvedimento "c'ho messo l'anima, c'era un'idea di lavoro, un'operazione di ricomposizione del quadro. E' stato un lavoro certosino quello che abbiamo fatto e se si parla di Jobs act oggi si parla della legge fondamentale del lavoro anche se alcune modifiche sono state fatte", ha sottolineato l'ex-presidente dell'Anpal. Per Del Conte se c'è una cosa che nel Jobs Act non ha funzionato "sono le politiche attive, non si possono riformare i servizi per l'impiego a invarianza di spesa". Per Nicola De Marinis, consigliere presso la Corte di Cassazione, sezione Lavoro "ci troviamo in un contesto sfidante, in cui, provocatoriamente, possiamo dire che il lavoro è tornato ad essere una merce, e in cui quindi è centrale la qualità del lavoro stessa", ha spiegato. Per De Marinis "la discussione sul lavoro agile è la discussione sul lavoro del futuro". E per De Marinis non ci si può fermare "a guardare al passato, anche sotto il punto di vista della normativa del lavoro. Dobbiamo traguardare il futuro, e nel Jobs Act c'era già tutto per farlo, come si legge anche nel libro". Secondo Nicola Marongiu, coordinatore area contrattazione e mercato del lavoro della Cgil "il giudizio sul Job act della nostra organizzazione vedeva positivamente alcuni aspetti che si confermati tali e individuava delle criticità che anch'esse sono rimaste invariate, come ad esempio il finanziamento delle politiche attive. Per quanto riguarda l'articolo 18 noi non lo abbiamo mai considerato un 'totem' ma qualcosa di pratico", ha concluso.
(Adnkronos) - Il Cile potrebbe ospitare l'albero più antico al mondo. E’ quanto emerge da uno studio del Laboratorio di Scienze climatiche e ambientali di Parigi, secondo cui un antico albero di alerce – una varietà locale di larice - conosciuto come "grande nonno" potrebbe avere più di 5.000 anni. Jonathan Barichivich, lo scienziato che ha guidato lo studio, ha spiegato che il campione estratto e altri metodi di datazione suggeriscono che l'albero abbia 5.484 anni. L'età stimata batterebbe quindi di oltre mezzo millennio l'attuale detentore del record, un esemplare di pino bristlecone di 4.853 anni che si trova in California.